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Nota dell’Avv. Andrea Basso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9817 del 13 aprile 2023 sotto allegata, è tornata ad occuparsi dell’assegno divorzile e dei presupposti di fatto e di diritto che ne legittimano il riconoscimento.
Con sentenza del luglio 2021, la Corte d’Appello di Genova aveva rigettato la domanda di una donna per l’ottenimento di un assegno divorzile in suo favore da parte dell’ex marito, già negata in primo grado dal Tribunale di La Spezia, stante l’insussistenza dei relativi presupposti.
In particolare, i giudici d’appello avevano valorizzato una serie di circostanze ostative al riconoscimento del sussidio, quali la condizione di autosufficienza economica della donna e la sua dimostrata capacità di lavoro, nonché la relazione intercorsa, dal 2003 al 2017, dalla stessa con un altro partner. In particolare, tale aspetto integrava, secondo i giudici, una famiglia di fatto ostativa al riconoscimento dell'assegno divorzile, malgrado i due non convivessero sotto lo stesso tetto.
La donna ha dunque impugnato per Cassazione tale decisione, con ricorso in due motivi.
Ad avviso della ricorrente, da un lato, la relazione intercorsa con l’altro partner sarebbe stata erroneamente equiparata ad una convivenza di fatto, malgrado non vi fosse stata coabitazione nè tanto meno un progetto di vita comune.
L’altra censura mossa dalla ricorrente era relativa alla circostanza che, secondo la Corte di Appello, dall’esistenza della relazione affettiva instaurata era stata fatta discendere automaticamente la perdita dell'assegno divorzile, senza alcuna verifica sullo squilibrio patrimoniale e reddituale dei coniugi, riconducibile alla scelte della coppia durante il matrimonio.
La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili i due motivi, argomentando che i giudici di secondo grado, coerentemente con il dettato di cui all’art. 5 comma 6 L. 898/1970, avevano valorizzato una pluralità di aspetti nel rigettare la domanda della donna.
Oltre alla relazione pluriennale e more uxorio sopra descritta, sono stati accertati in giudizio la condizione di indipendenza economica della richiedente, la sua capacità ed esperienza lavorativa da tempo acquisita (anche coadiuvando il partner nell'attività commerciale) nonchè la durata del matrimonio, pari a dodici anni: la ricorrente non ha dunque dimostrato di trovarsi in condizione di impossibilità oggettiva a procurarsi mezzi adeguati.
Infatti, secondo gli ermellini, il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non può essere giustificato con il semplice fatto che uno dei coniugi si sia dedicato principalmente alle cure della casa e/o dei figli, nè tantomeno con lo squilibrio reddituale esistente tra gli ex coniugi, atteso che la scelta di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare assume rilevanza solo ove, condivisa con l'altro coniuge, abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali reddituali, che chi richiede l’assegno è tenuto a provare in giudizio.
In tale ottica, prosegue la Corte, “la convivenza di fatto instaurata dalla ricorrente con altro partner, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, seppure in mancanza di coabitazione (cfr. Cass. 14151-2022, 9178-2018), correttamente è stata valorizzata nella sentenza impugnata quale fatto idoneo a concorrere con altri alla formazione del convincimento del giudice nel senso di non riconoscere la fondatezza del diritto azionato, in mancanza di prova della sussistenza in concreto dei presupposti giustificativi della componente compensativa dell'assegno”.
Perciò, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
In allegato, l’ordinanza n. 9817 della Sezione I Cassazione Civile, pubblicata in data 13 aprile 2023
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Giacomo Galeota
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