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La Corte di Cassazione, con le recentissime pronunce n. 30411/2022 e n. 1482/2023, è tornata ad occuparsi delle due tipologie di contributo economico che possono essere disposte a carico di un coniuge con la sentenza di divorzio, ribadendone limiti e portata.
Assegno divorzile
Con l'ordinanza n. 1482 del 18 gennaio 2023 sotto allegata, la Suprema Corte ha espresso un interessante principio di diritto sull'assegno di divorzio, revocando il contributo alla ex moglie titolare di redditi idonei a renderla autonoma economicamente, comprovati dalle risultanze dei propri conti correnti e dal fatto che la stessa avesse effettuato spese del tutto voluttuarie.
In sede di divorzio, il Tribunale di Velletri aveva riconosciuto alla ex moglie un assegno divorzile per € 100,00 mensili, oltre € 450,00 mensili a titolo di mantenimento per i figli, ma tali contributi economici erano stati revocati dalla Corte di Appello di Roma.
La donna si era dunque rivolta alla Cassazione avverso tale provvedimento di revoca, lamentando che la Corte di Appello avesse male interpretato alcune circostanze poi poste a fondamento della decisione.
Tuttavia, i giudici di legittimità hanno confermato la sentenza impugnata, fondando il proprio iter logico sui principi giurisprudenziali già consolidati con la sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018. Ad avviso della Corte, dunque: “La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.”
Proseguono poi gli ermellini affermando quanto segue: “Secondo il parametro composito - assistenziale e perequativo compensativo -che ・ stato oggetto dell'elaborazione interpretativa delle S.U., occorre verificare, in primo luogo, se il divorzio abbia prodotto, alla luce dell'esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità. Solo ove tale disparità sia accertata, è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.”
Dunque, le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Appello di Roma sono state ritenute condivisibili, in quanto, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, è stato appurato che, al momento della fine del matrimonio, la donna aveva la capacità di dedicarsi all'attività lavorativa ed anzi disponeva di redditi tali da renderla economicamente autonoma, come emerge anche dall'esame del suo conto corrente, dal fatto che la stessa si fa carico dei costi dell'abitazione presa in locazione e, in ultimo, dalle spese di carattere voluttuario sostenute nel tempo.
Per tali ragioni, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, con condanna per la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, pari ad € 3.800 oltre accessori di legge, nonchè al versamento dell'ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso.
Assegno di mantenimento in favore dei figli
Per quanto riguarda invece l'assegno di mantenimento in favore dei figli, disposto in sede di divorzio, la Cassazione, con l'ordinanza n. 30411 del 17 ottobre 2022 si è occupata di un'ipotesi peculiare, nella quale la figlia destinataria dell'assegno trascorreva la maggior parte del tempo a casa dei nonni paterni o nell’abitazione del padre, soggetto tenuto al contributo economico, malgrado nella sentenza divorzile la collocazione prevalente della minore fosse stata individuata nella residenza della madre.
In tali circostanze, il padre è legittimato a richiedere la riduzione dell'importo dell'assegno?
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del luglio 2020, aveva confermato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi, già pronunciata dal Tribunale di Varese, con obbligo per il padre di corrispondere un assegno di mantenimento pari ad € 250,00 mensili in favore della figlia della coppia, oltre al 50% delle spese straordinarie.
L'uomo ha impugnato tale sentenza dinanzi alla Cassazione, lamentando che tale assegno, da versare alla ex moglie quale genitore collocatario, fosse eccessivo, atteso che la minore, pur formalmente collocata presso la madre, trascorreva la maggior parte del tempo presso l'abitazione del papà o in quella dei nonni paterni, con la conseguenza che il mantenimento gravava quasi interamente sul padre e sul nucleo familiare paterno. Inoltre, le condizioni economiche della ex coniuge erano migliorate, poiché la donna aveva beneficiato dell'eredità materna ed aveva ricevuto la somma di Euro 76.000,00 dal marito, a fronte dell'acquisto della quota dell'immobile familiare intestato alla moglie.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso dell'uomo, ha ribadito il proprio orientamento, secondo cui il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole ex art. 147 c.c. impone ai coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito e, nella determinazione dell'importo dell'assegno, devono essere tenuti in considerazione elementi quali le esigenze del figlio, le risorse economiche dei genitori, oltre al tempo di permanenza presso ciascuno di essi e alla valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.
Perciò, i giudici di legittimità non hanno ravvisato i presupposti per revocare o ridurre il mantenimento in favore della minore, in quanto “la Corte distrettuale ha ampiamente motivato in ordine alle spese di mantenimento della minore da parte del padre e dei nonni, ritenendo correttamente che questi ultimi sono soggetti diversi dal padre che, spontaneamente e senza alcun obbligo, si fanno carico delle spese della minore nel tempo in cui la stessa si trova presso la loro abitazione; pertanto non è possibile revocare o ridurre l'assegno a carico del padre in considerazione del tempo trascorso da C.C. presso i nonni paterni. Tantomeno è meritevole di accoglimento la richiesta di riduzione dell'assegno per il maggior tempo che la minore trascorrerebbe presso il padre in quanto il rapporto del A.A. con la figlia è pur sempre regolato nei termini del diritto di visita e la minore risulta collocata presso la madre presso la quale risiede e che quindi risulta il soggetto cui sono imputabili le principali spese correnti correlate alla minore”.
Per tali ragioni, dunque, la Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha condannato l'uomo a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della ex moglie, controricorrente, liquidate in € 2.300 oltre accessori di legge, nonché a versare l'ulteriore importo pari al contributo unificato previsto per il ricorso.
Le due decisioni in commento si pongono sulla falsariga di precedenti orientamenti della Cassazione, fornendo delle chiare indicazioni sui presupposti e sugli oneri probatori a sostegno della richiesta di revoca o riduzione degli assegni mensili.
In allegato, il testo dell'ordinanza Cassazione, Sezione I, n. 1482 del 18 gennaio 2023
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Giacomo Galeota
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