Per la Suprema Corte, il confine tra le due fattispecie di reato è costituito dalla fine della convivenza
Per il Tribunale di Ascoli Piceno, lasciare un anziano non autosufficiente nella propria casa integra gli estremi del reato di abbandono di incapace poiché lo espone a grave pericolo per la sua incolumità
Per la Corte di Giustizia UE, la parcella per la prestazione legale determinata in ore deve consentire al cliente di valutare il costo complessivo del contratto
Nota del Dott. Andrea Basso
Con la recente sentenza n. 28646, emessa in data 18 ottobre 2021 e sotto allegata, la Cassazione è tornata ancora una volta ad esaminare il tema dell'assegno divorzile, con particolare riferimento ai presupposti per la sua attribuzione e alle conseguenze del venir meno dei presupposti stessi.
Con sentenza emessa nell'anno 2014, il Tribunale di Fermo aveva imposto, in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, che l'ex marito versasse alla donna un assegno divorzile, stante la sproporzione tra le situazioni reddituali dei due coniugi e al fine di far conservare alla ex moglie un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Tale decisione era stata confermata dalla Corte d'Appello di Ancona, ma la Cassazione aveva accolto il ricorso avanzato dal marito, rinviando il gravame alla Corte di Appello.
I giudici del rinvio avevano successivamente riformato la sentenza del Tribunale, revocando l'assegno divorzile disposto in favore della donna e condannando la stessa a restituire all'ex marito le somme ricevute a titolo di assegno divorzile, a partire dalla data di deposito della prima ordinanza della Cassazione.
L'uomo ha dunque proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio, sulla base di tre motivi. In primo luogo, il ricorrente lamenta che, nonostante la Corte di appello avesse negato l'esistenza ab origine dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno divorzile, la stessa aveva poi consentito la mancata restituzione della maggior parte di quanto percepito a tale titolo, in base alla buona fede della donna, in realtà insussistente. Inoltre, ad avviso del ricorrente, l'insussistenza originaria dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno, comporta che l'ex coniuge sia tenuta a restituire integralmente quanto percepito a tale titolo. Infine, l'ex marito ha contestato la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio, ad avviso dello stesso scarnamente giustificata dalla Corte di Appello.
Preliminarmente, gli Ermellini hanno precisato che la Corte di Appello dorica, nella sentenza impugnata, si è pienamente attenuta al principio di diritto attribuitole in sede di rinvio. Nello specifico, la Cassazione aveva imposto al giudice del rinvio di attenersi al principio espresso dalla stessa Suprema Corte con la sentenza n. 11504/2017, secondo cui il diritto all'assegno divorzile è condizionato dal previo riconoscimento all'esito di una verifica necessaria, articolata nelle due diverse fasi, ovvero l'accertamento del riconoscimento o meno del diritto all'assegno e la determinazione dell'importo dell'assegno stesso. In base a tale giudizio in due fasi, la Corte di Appello ha escluso ab origine l'an debeatur dell'assegno richiesto dall'ex moglie, attenendosi alla descrizione della situazione patrimoniale e reddituale della donna.
Tenute ferme queste considerazioni, i giudici di legittimità hanno ritenuto fondati i primi due motivi proposti dal ricorrente. In particolare, viene preliminarmente evidenziato che il ricorso incidentale proposto dalla ex moglie non ha investito la pronuncia di condanna restitutoria inflittale dalla corte di rinvio, di talché il presupposto logico che fonda tale decisione, ovvero la ripetibilità di quanto corrisposto a titolo di assegno divorzile, deve ritenersi passato in giudicato qualora, successivamente, se ne accerti la non debenza ab origine.
Dunque, la sentenza deve riguardare esclusivamente la decorrenza, in tale ipotesi, della ripetibilità sopra descritta, considerando che, alla luce del divieto di reformatio in peius, deve essere determinato solo se la ripetizione riguardi anche il lasso di tempo compreso tra il momento in cui la donna ha iniziato a iniziato a percepire l'assegno e la data di pubblicazione della prima ordinanza della Cassazione. In sostanza, nei limiti di tale periodo, la Suprema Corte deve decidere il momento a partire dal quale va operata la restituzione delle somme, nella specifica ipotesi in cui la Corte d'Appello abbia negato la sussistenza dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno.
In proposito, la corte di Appello ha ritenuto indubbio che i mezzi economici della moglie “fossero e sono adeguati a mantenere un tenore di vita più che dignitoso e finanche a supportare in parte economicamente le figlie maggiorenni, che continuano comunque a percepire direttamente un assegno mensile ed a fruire di ulteriori sostegni, previsti in sentenza, da parte del padre”, disponendo, alla luce di ciò, che la restituzione di quanto percepito in buona fede dalla ex moglie dovesse essere limitato al solo periodo successivo alla data di deposito dell'ordinanza della Cassazione.
Tuttavia tale assunto non può trovare ulteriore seguito, in quanto, qualora si accerti che una determinata somma non è dovuta, la buona fede di chi l'ha percepita e deve restituirla non giustifica la ritenzione di quanto indebitamente pagato, ma, tuttalpiù, riguarda la decorrenza dei frutti e degli interessi maturati. Inoltre, gli eventuali successivi mutamenti giurisprudenziali pur dovendosi tenere in considerazione nell'ottica della valutazione della buona fede, non giustificano da soli il diniego della restituzione di pagamenti non dovuti ab origine.
Proseguono gli ermellini affermando che la giurisprudenza di legittimità ha già affermato che l'accertamento dell'insussistenza del diritto all'assegno divorzile comporta che lo stesso non sia dovuto dal momento giuridicamente rilevante in cui decorre la sua iniziale attribuzione, che ha natura costitutiva: tale momento coincide con il passaggio in giudicato della sentenza di risoluzione del vincolo coniugale.
Da ciò discende che l''obbligo restitutorio a carico della ex moglie dovrà estendersi anche al periodo ricompreso tra quando la stessa ha iniziato a percepire l'emolumento e la prima ordinanza della Cassazione del 2017.
Infine, la Corte ha precisato che gli interessi legali sulla somma da restituire dovranno essere riconosciuti, ai sensi dell'art. 1282 c.c., dal giorno del pagamento, in quanto la caducazione del titolo rende indebito il pagamento sin dall'origine, e dunque l'obbligazione restitutoria deve ritenersi sorta ed esigibile sin da quel momento.
Alla luce di tali argomentazioni, il ricorso dell'ex marito è stato accolto e, non essendoci ulteriori accertamenti da svolgere, la Corte ha deciso la causa nel merito, condannando la ex moglie a restituire quanto ricevuto a titolo di assegno divorzile sin da quando la stessa ha iniziato a percepire l'emolumento, oltrw agli interessi legali su tali somme, dalle date dei rispettivi pagamenti fino all'effettivo soddisfo.
Per quanto attiene infine alle spese processuali si tutti i gradi di giudizio, è stato disposta l'integrale compensazione tra le parti, in considerazione della peculiarità dell'intero iter processuale, anche tenuto conto dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti nel corso dell'intera vicenda.
In allegato il testo della sentenza n. 28646 del 18 ottobre 2021 della Cassazione
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Giacomo Galeota
Avvocato penalista civilista
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La responsabilità civile rientra nella categoria più ampia delle responsabilità giuridiche. In particolare la locuzione ‘responsabilità civile’ ha un duplice significato: da un lato essa indica l’intero istituto composto dalle norme cui spetta il compito di individuare il soggetto tenuto a sopportare il costo della lesione ad un interesse altrui; dall’altro può essere considerata sinonimo della stessa obbligazione riparatoria imposta al soggetto responsabile.
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