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di Lucia Izzo - In tema di risarcimento del danno biologico da cd. micropermanente, ai sensi dell'art. 139, comma 2, del d.lgs. n. 209/2005 (come modificato dal decreto Cresti Italia e incidentalmente dalla L. n. 124/2017), la sussistenza dell'invalidità permanente non può essere esclusa per il solo fatto di non essere documentata da un referto strumentale per immagini.
Non è dunque possibile applicare un mero automatismo che vincoli il riconoscimento di tale danno ad una verifica strumentale, ma resta comunque ferma la necessità che l'accertamento della sussistenza della lesione dell'integrità psico-fisica avvenga secondo criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi.
È il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 9865/2020 (sotto allegata) che ha accolto il ricorso dell'infortunato contro la sentenza d'appello che gli aveva liquidato il danno non patrimoniale limitandolo al risarcimento del solo danno biologico da inabilità temporanea, non riconoscendo alcun postumo di natura permanente né il danno morale.
Gli Ermellini rammentano che l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, come modificato dal "Cresci Italia" (D.L. n. 1/2012), mira a prevenire accertamenti del danno biologico permanente, nel caso di lesioni di lieve entità, fondati esclusivamente sul c.d. "criterio anamnestico", cioè sulla raccolta delle sensazioni psicofisiche riferite dal paziente, in quanto tali dipendenti da margini di apprezzamento del tutto soggettivi ed insuscettibili di alcuna obiettiva verifica medico-legale.
Ciò, infatti, condurrebbe a evidenti incertezze sull'effettiva sussistenza della menomazione e conseguenti riflessi negativi in termini di rilevanza statistica delle richieste di liquidazione dei danni da micro permanenti, nonchè sulla gestione dei sistemi assicurativi e sull'incidenza sui premi della polizza assicurativa.
La norma in questione esplicita i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), senza porre vincoli predeterminati alla efficacia probatoria della metodologia impiegata dal medico-legale.
Essa pone invece in rilievo la correlazione, stavolta indispensabile, tra la corretta applicazione dei suddetti criteri metodologici di indagine e la "obiettiva certezza scientifica" del risultato dell'accertamento, ossia la "oggettiva riscontrabilità" nel soggetto leso, secondo i parametri offerti dalla scienza specialistica, di postumi invalidanti di natura permanente.
Pertanto, l'esame clinico strumentale non è, quindi, l'unico mezzo utilizzabile dal medico legale, salvo che ciò si correli alla natura della patologia (cfr. Cass. n. 1272/2018 e n. 5820/2019). In sostanza la norma richiama il medico-legale alla corretta applicazione dei criteri di indagine in funzione della verifica della esistenza di una invalidità biologica non emendabile derivata dalla lesione alla salute: il danno in questione o esiste o non esiste, rimanendo in conseguenza esclusa, ai fini dell'accertamento della invalidità biologica permanente, una valutazione di tipo meramente probabilistico.
La sentenza impugnata ha sbagliato, dunque, a ritenere che la risarcibilità del danno da invalidità permanente fosse vincolata esclusivamente al riscontro fornito da esami strumentali e, pertanto, viene cassata con rinvio. Il Giudice di merito dovrà accertare se, dagli esami condotti dal medico-legale che ha espletato l'incarico officioso, emerga il riscontro obiettivo di una menomazione anatomo-funzionale derivata eziologicamente dalla distorsione del rachide cervicale.
E ciò dovrà avvenire alla stregua della corretta applicazione dei criteri medico-legali e degli elementi clinici emersi dalla documentazione ritualmente prodotta in giudizio.
Scarica pdf Cassazione, terza civile, ordinanza n. 9865/2020
Fonte: studiocataldi.it
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