Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Coniuge separato entra nell’appartamento dell’ex: è violenza privata

Coniuge separato entra nell’appartamento dell’ex: è violenza privata

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 08 gennaio 2024

Secondo la Cassazione, solo il coniuge rimasto nell’abitazione dopo la separazione di fatto ha diritto di esclusione dei terzi, anche in caso di immobile in comproprietà

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Nota dell’Avv. Andrea Basso

 

Con la sentenza 16 marzo 2023 n. 11242, sotto allegata, la Corte di Cassazione penale, Sezione Quinta, si è pronunciata in merito alla sussistenza del reato di violazione di domicilio ex art. 614 c.p., nei confronti di un uomo che era entrato nell’abitazione familiare abitata dalla moglie, da cui si era separato di fatto.

Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza successivamente confermata dalla Corte di Appello di Messina, aveva condannato, anche per gli effetti civili, due fratelli per i reati di violenza privata (art. 610 c.p.), violazione di domicilio (art. 614 c.p) e minaccia aggravata (art. 612, comma 2 c.p.), mentre uno dei due era stato condannato anche per i reati di percosse (art. 581 c.p.) e violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570, comma 2, n. 2), ai danni della moglie, in fase di separazione.

I due fratelli hanno presentato separati ricorsi presso la Suprema Corte, con motivi coincidenti.

Con il primo motivo, si affermava che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello, al momento dell’ingresso degli imputati nella casa di loro proprietà abitata dai coniugi, questi non erano ancora giunti ad un accordo omologato sulla separazione e, dunque, non erano autorizzati a vivere separati, sicchè non poteva configurarsi la violazione di domicilio. Ad avviso del coniuge imputato, peraltro, le percosse, la violenza e la minaccia devono ritenersi scriminate ex art. 51 c.p. dall’esercizio di un diritto, in quanto sarebbero derivate dal turbamento causato dall’avvenuta sostituzione della serratura della propria casa da parte della moglie.

Inoltre i fratelli censurano l’operato del Giudice, il quale avrebbe esteso al caso di specie una sentenza della Cassazione in materia di violazione di domicilio da parte di un coniuge, in presenza di un procedimento del Giudice privo di esecutività.

Il marito lamenta poi che la condotta ascrittagli non sarebbe stata provata in giudizio, atteso che all’epoca dei fatti entrambi i coniugi provvedevano al mantenimento dei figli ed anzi era stata la moglie ad allontanare il coniuge.

La Suprema Corte ha respinto entrambi i ricorsi, poiché i motivi sono infondati.

In primo luogo, sostengono gli ermellini che le parti, circa due mesi prima dei fatti, si erano accordate per vivere separate e l'appartamento doveva essere utilizzato solo dalla moglie e dai figli minori, con possibilità per la donna di sostituire la serratura. Dunque, si era creata “una situazione di fatto che, a prescindere dall'omologazione da parte del Tribunale civile dell'accorso intercorso, vedeva la persona offesa titolare esclusiva del diritto di abitare quell'appartamento, con lo ius excludendi alios che si connette alle prerogative di chi vanti un rapporto di utilizzo qualificato con un'abitazione. Conforta detta conclusione la giurisprudenza di questa Corte che, sia pure in fattispecie non perfettamente sovrapponibili a quella in esame, ha valorizzato la situazione di fatto creatasi dopo la fine di una relazione e l'allontanamento di uno dei due componenti della coppia dall'abitazione per reputare sussistente, in capo all'altro, il diritto esclusivo di decidere chi potesse avere accesso al luogo che era stato la comune dimora”.

Precisa infatti la Cassazione che la fattispecie di violazione di domicilio ha come oggetto giuridico la libertà della persona colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui, attraverso il meccanismo sanzionatorio, viene garantita l'inviolabilità, coerentemente con il dettato costituzionale ex art. 14 Cost.

Pertanto, qualora, all'esito di una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l'abitazione familiare trasferendosi altrove, l'unico titolare del diritto di esclusione di terzi va individuato nel coniuge rimasto nella abitazione familiare, anche se quello trasferito sia proprietario o comproprietario dell'immobile”, tenuto conto che “l'intervenuta separazione tra i due coniugi, con abbandono dell'abitazione familiare da parte del marito, "ancora prima dell'adozione da parte del giudice civile del provvedimento con cui la casa familiare veniva assegnata alla moglie, ha fatto venire meno il rapporto di convivenza e, con esso, la titolarita' dello "ius prohibendi" e del correlativo "ius admittendi" in capo al figlio dell'imputata, non piu' in grado, dunque, proprio perche' l'abitazione in questione, dal momento in cui egli ha deciso di vivere altrove, non puo' piu' considerarsi un luogo dove esplica liberamente la sua personalita', di proibirne o di consentirne l'accesso o la permanenza a terzi estranei e cio' a prescindere dalla circostanza che, conformemente alla sua qualita' civilistica di comproprietario, l'immobile continui a far parte, "pro quota", del suo patrimonio".

Nel caso di specie, perciò, quello che rileva, a prescindere dall'adozione di provvedimenti giudiziari, è che l’imputato si sia allontanato dalla casa coniugale della moglie, stabilizzando la situazione di fatto per cui la donna, che già viveva in quel luogo, ne aveva fatto il proprio domicilio da separata, rispetto al quale l'intrusione dell'ex coabitante (e di soggetti autorizzati da quest'ultimo) integra la fattispecie di violazione del domicilio.

Ciò risulta pacifico anche tenuto conto che l'imputato, dopo essersi allontanato dalla casa coniugale, si era trasferito in una diversa abitazione, dove conviveva con un'altra donna.

Per quanto attiene agli altri due motivi di ricorso, il secondo è aspecifico e manifestamente infondato, in quanto argomentato genericamente, mentre l’ultimo è infondato poiché il vizio lamentato è evocato impropriamente.

Alla luce di tale iter logico, i Giudici di legittimità hanno rigettato i ricorsi presentati dai due imputati, condannandoli al pagamento delle spese processuali, ma non di quelle della parte civile, la quale non ha svolto alcuna attività difensiva utile a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria.

 

In allegato, la sentenza della Cassazione n. 11242 del 16 marzo 2023

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