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Nota del Dott. Andrea Basso
L'utilizzo di falsi profili è pratica diffusa sui social network, ma può comportare gravi conseguenze sotto il profilo penale.
E' quanto accaduto ad un uomo, condannato dal Tribunale di Trieste per il reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p., con la sentenza n. 681 del 24 maggio 2021 sotto allegata.
Nel settembre 2017, l’uomo aveva contattato sui social una donna affetta da disabilità intellettiva di media gravità, ritardo mentale di media gravità con invalidità certificata ex L. n. 289/1990, presentandosi come un adolescente e postando sul proprio profilo le immagini del figlio ventenne. I due avevano così iniziato una relazione a distanza fino al dicembre 2017, attraverso lunghe conversazioni culminate con lo scambio di foto sessualmente esplicite. A causa di questa relazione, la donna, che credeva di frequentare il figlio dell'imputato, aveva manifestato anche intenti suicidi, così come confermato dalla madre della donna in sede di esame testimoniale.
L'uomo è stato dunque rinviato a giudizio per il reato di sostituzione di persona e, all'esito del processo, il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di tale fattispecie criminosa, che, ai sensi dell'art. 494 c.p., è punita con la reclusione fino ad un anno.
Nel caso di specie, è emerso in modo pacifico che la donna sia stata tratta in errore sull'identità dell'imputato, atteso che l'uomo ha postato sul proprio profilo social, utilizzato per chattare, le fotografie del figlio, allo scopo di adescare la donna e intrattenere con lei una relazione a distanza.
Il Tribunale triestino, prendendo spunto dai principi giurisprudenziali in materia, ha affermato infatti che la sostituzione della propria persona con quella altrui si verifica quando il soggetto assume un atteggiamento diretto a far apparire se stesso come un'altra persona.
Ad avviso della più recente giurisprudenza peraltro, il predetto reato ben può realizzarsi a mezzo internet, nel caso in cui ci si attribuisca le generalità di un altro soggetto, così da indurre in errore gli altri utenti social. Allo stesso modo, integra il reato anche l'ipotesi in cui vengano utilizzati i dati ed il nome altrui per creare un falso profilo sui social network e ciò procuri i vantaggi derivanti dalla diversa identità assunta, quali ad esempio l'intrattenere rapporti con altre persone o soddisfare la propria vanità, oltre a ledere l'immagine della persona offesa.
La fattispecie criminosa in discorso richiede inoltre che la sostituzione dell'identità abbia come fine quello di procurare a chi la pone in essere o ad altri un ingiusto profitto o di recare ad altri un danno ingiusto. Secondo un consolidato orientamento, il vantaggio ed il danno non devono necessariamente avere una finalità economica e non devono essere neppure ingiusti, nel senso che il reato può configurarsi anche quando l'impegno miri a realizzare uno scopo lecito.
Per quanto riguarda il caso in esame, il Tribunale ha ritenuto provato il dolo specifico dell'imputato, ovvero la sua volontà di indurre in errore la persona offesa circa la sua identità, allo scopo di ottenere benefici di natura sessuale. Parimenti, è stato ritenuto integrato anche l'elemento del danno alla parte lesa, atteso che è emersa nel corso del giudizio l'esasperazione della donna a seguito del raggiro subito, sfociata nelle minacce di suicidio confermate dalla madre della donna.
Stante la ricorrenza di tutti gli elementi tipici del reato, è stata affermata la responsabilità penale dell'imputato, al quale non sono state concesse le attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p., in quanto non sono stati rinvenuti elementi che ne consentissero l'applicazione, unitamente alle attenuanti tipizzate.
L'uomo è stato così condannato a mesi tre di reclusione, di cui mesi due a titolo di pena base, aumentata per la continuazione interna, oltre al pagamento delle spese processuali. Egli ha tuttavia potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena, in assenza di elementi per una valutazione sfavorevole in merito.
In allegato il testo della sentenza n. 681 del 24 maggio 2021 emessa dal Tribunale di Trieste
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Giacomo Galeota
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La responsabilità civile rientra nella categoria più ampia delle responsabilità giuridiche. In particolare la locuzione ‘responsabilità civile’ ha un duplice significato: da un lato essa indica l’intero istituto composto dalle norme cui spetta il compito di individuare il soggetto tenuto a sopportare il costo della lesione ad un interesse altrui; dall’altro può essere considerata sinonimo della stessa obbligazione riparatoria imposta al soggetto responsabile.
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