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Nota del Dott. Basso Andrea
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1933/2023 sotto allegata, si è occupata della rilevanza penale dell'inosservanza del diritto di visita ai figli di un coniuge, disposto e regolato con il decreto di omologa della separazione.
In generale, il genitore che ostacola il diritto di visita dell'altro può subire conseguenze civili e penali: in ambito civilistico, si rischia la modifica delle condizioni di affidamento ex art. 709-ter c.p.c. ed anche la condanna al risarcimento dei danni in favore dell'altro genitore. Dal punto di vista penale, invece, possono essere integrati gli estremi del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice ex art. 388 c.p. e, secondo un altro orientamento giurisprudenziale, anche il reato di sottrazione di minorenni ex 574 c.p., qualora venga ostacolata anche la possibilità che si instauri un rapporto tra i figli e l'altro genitore.
La vicenda recentemente esaminata dalla Cassazione aveva visto, in primo grado, una donna assolta proprio dal reato ex art. 388 comma 2 c.p., poiché, ad avviso del Tribunale, il fatto non sussisteva. Tale decisione è stata riformata dalla Corte di Appello di Campobasso, la quale ha assolto la donna ex art. 131 bis c.p per particolare tenuità del fatto.
Avverso tale decisione, la Procura Generale presso la Corte di Appello di Campobasso ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi.
Con il primo, si lamenta che la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. non possa essere applicata nella fattispecie, atteso che gli inadempimenti sono stati plurimi e reiterati nel tempo. In particolare, in diverse occasioni, al marito non era stato consentito di esercitare il diritto di incontrare i figli minori, affidati all'imputata, con le modalità disposte in sede di omologa della separazione consensuale.
Con il secondo motivo, la Procura ha rilevato che la Corte di secondo grado, per configurare il reato, ha valorizzato la ripetitività delle condotte poste in essere dall'imputata; tuttavia, in maniera contraddittoria, ha concluso per la non punibilità del fatto stante la particolare tenuità dell'offesa riscontrata, finendo per sminuire il pregiudizio causato all'ex coniuge e ai figli dall'inosservanza del provvedimento di omologa della separazione.
Nell'accogliere il ricorso, gli Ermellini hanno sviluppato il seguente iter logico.
In primo luogo, afferma la Suprema Corte, la Corte di merito ha fondato la responsabilità dell'imputata sulla “riscontrata e ripetuta elusione[...] del provvedimento giudiziale di omologazione della separazione, avendo la prevenuta, nell'arco temporale considerato dalla contestazione, con sistematicità, impedito l'incontro tra la persona offesa e i suoi figli, in termini del tutto ingiustificati rispetto alle previsioni della citata statuizione”, circostanza ancor più grave considerato che il Tribunale aveva dato ampia flessibilità nel determinare il diritto di visita ed incontro. Ciò posto, la Corte aveva ritenuto integrata la non punibilità in quanto il pregiudizio conseguente alla condotta era da ritenersi limitato per la breve durata dell'illecito – quattro mesi -, per il miglioramento progressivo dell'atteggiamento della donna rispetto ai diritti genitoriali del marito e per l'incensuratezza della stessa.
Per quanto attiene alle modalità del reato in imputazione, rilevano i giudici di legittimità che: “Nel caso, la linea interpretativa seguita dall'imputazione - validata dai giudici del merito e non contrastata dal ricorso […] - dà conto di un agire illecito unitariamente considerato in un quadro di consolidato e ribadito inadempimento agli obblighi imposti dai provvedimento di omologa della separazione consensuale. Il motivare speso in sentenza, in particolare, lascia coerentemente pensare non ad un’unica condotta oppositiva iniziale protrattasi nel tempo, ma a diversi agiti di identico tenore tutti generati, tuttavia, dalla medesima scelta a monte di non voler adempiere ai provvedimento giudiziale pretermesso”. Ciò è importante in quanto, ove fossero valorizzate le singole condotte illecite, la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. sarebbe inapplicabile senza dubbio.
Partendo da tale assunto, le censure della Procura sono da ritenersi fondate, pur con qualche precisazione doverosa.
Come noto, l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. è subordinata alla valutazione circa il comportamento non abituale, inteso, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, nel senso che il reato non deve avere ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterale (cd. Abitualità ostativa).
In tale ottica, la Suprema corte precisa che: “Non è corretto dunque ritenere di per sè preclusa a concreta operatività dell'istituto in questione in presenza di qualsivoglia reiterazione di comportamenti che di per sè stessi sarebbero penalmente rilevanti. L'essenza della abitualità ostativa non è data infatti dalla mera reiterazione delle condotte illecite ma va rinvenuta piuttosto nella serialità delle stesse, destinate a qualificare il soggetto elle se ne rende protagonista.[...] In tali ambiti, può dirsi che la serialità è un elemento della fattispecie ed è quindi sufficiente a configurare l'abitualità che esclude l'applicazione della disciplina, senza che occorra verificare la presenza di distinti reati. Aspetti, questi, che tuttavia non è dato riscontrare in relazione al caso che occupa, atteso che l'art. 388, comma 2, c.p. non vede nei suoi tratti costitutivi tipizzati nè l'abitualità, nè la necessaria reiterazione delle condotte”
Per quanto attiene invece alla pluralità delle condotte, il giudice di merito deve considerare non solo il numero e il contesto temporale nel quale sono avvenute, ma anche le connotazioni di omogeneità che le connota alla luce della specificità concreta dell'agire illecito realizzato, parametro di verifica imprescindibile nell'accertare la serialità di un determinato contegno illecito.
La sentenza impugnata, ad avviso degli Ermellini, ha disatteso tali indicazioni, posto che la decisione ”trascura integralmente di considerare il dato in forza del quale l'elusione, nella specie, si è concretata in più occasioni di specifica e ribadita mancata attuazione del provvedimento di omologazione della separazione. Difetta, dunque, di qualsivoglia approfondimento in relazione al numero e alla frequenza delle violazioni che hanno contribuito a rassegnare l'eiusione continuativa riscontrata, aspetto da leggere alla luce delle connotazioni specifiche della regiudicanda e alla omogeneità degli agiti illeciti ripetuti nel tempo per poi verificare, o se dei caso negare, con la dovuta puntualità la possibile sussistenza della serialità ostativa al riconoscimento del causa di non punibilità nel caso applicata.”
In ultimo, conclude la Cassazione, la sentenza impugnata non considera adeguatamente il dolo sotteso alla condotta di cui al capo di imputazione, elemento che invece è stato posto a fondamento della riforma della decisione resa in primo grado, nello specifico “rimarcando la refrattarietà della prevenuta rispetto alla possibilità di trovare soluzioni accomodanti nell'interesse comune destinate a dare puntuale esecuzione al provvedimento giudiziale non osservato. ”
Per tutte queste ragioni, i Giudici di legittimità hanno annullato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno, la quale è chiamata a “colmare i vuoti e le incongruenze del motivare contrastato all'uopo riscontrati”, tenendo conto delle sopra descritte indicazioni di principio.
In allegato, la sentenza della Cassazione n. 1933/2023
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Giacomo Galeota
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