Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

E' responsabile per omicidio colposo il medico che non effettua diagnosi approfondite

E' responsabile per omicidio colposo il medico che non effettua diagnosi approfondite

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 08 gennaio 2024

La Cassazione penale conferma che i sintomi del paziente imponevano un accertamento clinico ulteriore che, se effettuato, avrebbe certamente individuato l'infarto in corso e avrebbe salvato l'uomo

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Nota dell’Avv. Andrea Basso

 

Con la sentenza n. 1665 del 18 gennaio 2023 sotto allegata, la Corte di Cassazione Penale ha confermato la responsabilità del medico del Pronto Soccorso che omette di effettuare ulteriori approfondimenti diagnostici sul paziente, i quali, se compiuti, avrebbero consentito di salvargli la vita tramite defibrillazione.

Nel gennaio 2020 la Corte di appello di Brescia aveva parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Mantova e, pur confermando la condanna di un medico dell'Ospedale San Pellegrino di Castiglione delle Stiviere per il reato di omicidio colposo ex. art. 589 c.p. aveva ridotto le somme liquidate a titolo di provvisionale in favore delle costituite parti civili.

L'Ospedale, responsabile civile nel processo a carico del sanitario, ha impugnato per Cassazione la sentenza della Corte bresciana, con ricorso articolato in due motivi, contestando il nesso di causalità e la colpa grave.

Con il primo motivo, si rileva che la Corte d'appello non ha indicato il comportamento che il medico avrebbe dovuto tenere per ridurre, se non evitare, le conseguenze negative della patologia coronarica riscontrata al paziente nella fattispecie. Inoltre, nella sentenza non vi sarebbe alcun riferimento in merito alla reale idoneità dell'omessa condotta contestata a salvare il paziente, anche alla luce delle peculiari caratteristiche dell’uomo.

Per altro verso, l'ente ospedaliero lamenta che, in base alle circostanze del caso come emerse in dibattimento e alle informazioni conosciute e conoscibili dall'imputato, sarebbe emerso che il medico ha operato in conformità alle buone prassi vigenti per i casi analoghi: per tale motivo, non vi era stata alcuna negligenza grave da parte del sanitario.

Successivamente, il ricorrente ha presentato nuovi motivi, approfondendo il discorso in relazione al nesso causale e al grado della colpa.

Sotto il primo profilo, si ritiene che era necessario stabilire la possibilità concreta che il paziente, qualora fosse stato ricoverato, si sarebbe salvato, tenuto conto delle sue complessive condizioni di salute e della fase in cui si trovava la patologia al momento dell'intervento del sanitario.

Per quanto attiene invece alla colpa grave, il ricorrente censura l'operato della Corte, la quale non ha fornito spiegazioni sull'erroneità della diagnosi del sanitario, peraltro medico d'urgenza e non cardiologo, ed ha fatto tale errore in quanto influenzata dalla valutazione ex post delle reali cause dei sintomi. Anche la qualificazione della colpa in termini di gravità sarebbe erronea, atteso che la complessità del quadro clinico, emersa solo con l'autopsia, era di difficile individuazione ex ante.

La III sezione della Cassazione Penale ha ritenuto il ricorso infondato, come già affermato dalla stessa Corte con sentenza n. 16813 del 24/02/2021, successivamente revocata su ricorso straordinario ex 625 bis c.p.p. dello stesso ente per omessa notificazione dell'avviso di fissazione di udienza.

Come già espresso dalla Corte nella prima sentenza, infatti, relativamente al nesso causale tra condotta omissiva e evento letale, “un esame complessivo e contestuale di varie parti della sentenza [...] rende evidente come, pur in mancanza di elementi certi e precisi in ordine all'orario esatto dell'exitus, la caratterizzazione della vicenda sulla base delle ricostruite peculiarità della situazione concreta induce a ritenere che, ove i necessari esami diagnostici fossero stati eseguiti dal Dott. A.A. nella prospettiva di una diagnosi differenziale, l'episodio infartuale acuto in corso sul Barosi sarebbe stato immediatamente accertato, il paziente sarebbe stato immediatamente avviato all'unità di terapia intensiva coronarica, ove gli sarebbe stata praticata la de fibrillazione e, con elevato grado di probabilità logica, il paziente stesso si sarebbe salvato".

In relazione alla natura colposa della condotta causante tenuta dal medico del nosocomio, gli Ermellini ribadiscono che le condizioni del caso imponevano al medico di fare accertamenti per effettuare una diagnosi differenziale e giungere all'ipotesi che i sintomi del paziente fossero ascrivibili ad un episodio di cardiopatia ischemica acuta, con la conseguente necessità di effettuare accertamenti che avrebbero confermato l'evento, quali l'esecuzione di elettrocardiogramma e il dosaggio della troponina, come indicato dai periti.

Riguardo al grado della colpa, invece, la Suprema Corte afferma quanto segue: "nel caso di specie il dolore ad ambedue le braccia, associato ad episodio emetico, avrebbe imposto un accertamento circa la possibile riferibilità del quadro clinico a patologia ischemica: ciò che il Dott. A.A. omise di fare”

In ultimo, sulla determinazione della provvisionale in favore delle parti civili, la Corte si limita a richiamare la sentenza a Sezioni Unite n. 2246/1990, per la quale la condanna disposta dal Giudice di merito al risarcimento, in favore della parte civile, di una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non passa in giudicato e non è perciò ricorribile per Cassazione, specie considerato che tale decisione di condanna è destinata ad essere superata dalla liquidazione del risarcimento integrale.

Per tali ragioni, il Collegio giudicante ha rigettato il ricorso ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, anche se non in favore delle parti civili, atteso che le conclusioni formulate dalle stesse non sono entrate nel merito delle questioni oggetto del presente giudizio.

 

In allegato, la sentenza n. 1665 della Sezione III Cassazione Penale, pubblicata in data 18 gennaio 2023

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