Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Guida in stato di ebbrezza: come farsi assistere dal difensore per sottoporsi all'accertamento alcolimetrico

Guida in stato di ebbrezza: come farsi assistere dal difensore per sottoporsi all'accertamento alcolimetrico

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 08 gennaio 2024

La Cassazione afferma che l'avviso di farsi assistere da un difensore può essere dato in qualunque forma, purché idonea al raggiungimento dello scopo

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Nota del Dott. Andrea Basso

 

La Cassazione, con la sentenza n. 45909 pubblicata il 5 dicembre 2022 e sotto allegata, ha chiarito le modalità con cui la polizia giudiziaria deve invitare il guidatore fermato per essere sottoposto all'etilometro qualora lo stesso voglia farsi assistere da un difensore.

Un uomo era stato condannato con sentenza in primo grado, successivamente confermata in appello dalla Corte d'Appello di Milano, per il reato ex art. 186 comma 2 lettera c) del Codice della Strada, che incrimina chi si mette alla guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.

L'automobilista ha dunque presentato ricorso per Cassazione avverso la sentenza di condanna in appello, lamentando la violazione di legge, in quanto l'avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p. risulterebbe solo dalla deposizione dell'agente accertatore, e non da un atto scritto redatto dalla polizia giudiziaria. Lo stesso agente, nel corso del giudizio, ha riferito che l'uomo avrebbe risposto negativamente alla domanda se intendesse farsi assistere da un difensore nell'effettuazione dell'accertamento alcolimetrico, poi espletato in ospedale.

Tuttavia, lamenta il ricorrente, la deposizione dell'operante sul punto non può supplire alla mancata rituale verbalizzazione, sicchè l'accertamento alcolimetrico va dichiarato nullo e l'imputato dovrebbe di conseguenza essere assolto.

Peraltro, il ricorrente ha evidenziato l'incongruenza del materiale probatorio, atteso che, nel certificato del laboratorio di analisi, il campione riporta la data del 15 ottobre 2017, ore 13,17, mentre gli atti redatti dal personale ospedaliero mostrano come l'uomo sia entrato in Pronto soccorso il 14 ottobre alle ore 18,58 ed abbia effettuato il prelievo alle ore 19,18.

La Suprema Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, stante l'infondatezza delle censure mosse dal ricorrente.

In particolare, affermano gli Ermellini, l'avviso ex art. 114 disp. Att. c.p.p. - secondo cui, prima di compiere determinate attività investigative, la polizia giudiziaria è tenuta ad avvertire l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia –  deve essere dato “in qualunque forma idonea al raggiungimento dello scopo e cioè a consentire al destinatario di comprendere appieno il significato del predetto avviso e quindi l'esatta portata della facoltà difensiva ad esso correlata, sì da consentirne l'eventuale esercizio [...] Dunque un avviso dato verbalmente ma in termini chiari ed inequivocabili è assolutamente rituale”. Inoltre, la prova di aver avvisato la persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere dal proprio difensore, può essere fornita anche attraverso la deposizione dell'agente operante, trattandosi di un dato di fatto di cui nessuna norma prevede la dimostrazione esclusivamente per via cartolare.

In sostanza, prosegue la Corte, è necessario valutare se la dichiarazione dell'agente sia attendibile e, nel caso in esame, la sentenza impugnata è da ritenersi “congrua, esauriente e pienamente idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum”, poiché nella parte motiva erano state ben descritte le circostanze nelle quali gli agenti avevano compiuto il prelievo.

Per quanto riguarda invece il secondo motivo, secondo la Cassazione: “dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è dunque enucleabile una attenta analisi della doglianza formulata dalla difesa dell'imputato, alla quale i giudici di merito hanno fornito risposta attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, in quanto del tutto coerenti con una esauriente disamina delle risultanze agli atti ”.

Non vi è motivo di dubitare che il certificato contenente l'accertamento del tasso alcolemico appartenga all'imputato: a ben vedere, gli agenti erano intervenuti sul posto alle ore 15,55 del 14 ottobre 2017 ed avevano sin da subito constatato che l'automobilista presentava alito vinoso e versava in stato confusionale. L'imputato si era poi recato presso il comando di polizia per svolgere l'esame alcolimetrico ma, stante l'impossibilità di procedere a causa di un malfunzionamento dell'etilometro, l'uomo si era recato in ospedale, intorno alle 19, e lì era stato sottoposto al prelievo ematico. L'incongruenza temporale è dunque da attribuirsi al fatto che, a causa dell'orario, il campione di sangue era stato trasmesso al laboratorio interno dell'ospedale il giorno successivo 15 ottobre.

Pertanto, la Corte d'appello ha correttamente affermato che non vi sono elementi per ritenere che al laboratorio fosse stato inviato un differente campione di sangue, specie considerando che gli stessi agenti avevano notato, sin nell'immediatezza dei fatti, che l'imputato era in uno stato di alterazione da abuso di alcool.

Dunque, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannato l'imputato al pagamento delle spese processuali, oltre ad € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In allegato sentenza della Cassazione n. 45909/2022

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