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Per la Corte di Giustizia UE, la parcella per la prestazione legale determinata in ore deve consentire al cliente di valutare il costo complessivo del contratto
L'omesso versamento dell'assegno di mantenimento costituisce una violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570bis c.p. configurabile anche nei confronti dei figli minori nati da genitori non legati dal vincolo formale del matrimonio.
È quanto chiarito dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 44695/2019.
* Mantenimento figli nati fuori dal matrimonio
* Il punto della Cassazione
* Il raffronto con la Corte Costituzionale
L'imputato è stato accusato del reato di cui all'art. 3 della Legge n. 54/2006 per aver corrisposto una somma mensile inferiore a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni (provvedimento del novembre 2012) per il mantenimento dei figli nati al di fuori del rapporto coniugale.
Il Tribunale ha assolto l'imputato sostenendo che il fatto non è previsto dalla legge come reato: la fattispecie incriminatrice, ricondotta all'art. 570bis c.p.[1] (introdotto dall'art. 2 del D.Lgs. n. 21 dell'1.03.2018 concernente "Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103", con decorrenza dal 6.04.2018), in cui la norma della Legge n. 54/2006 è stata trasfusa[2], costituisce un "reato proprio" del solo coniuge e, quindi, non può applicarsi analogicamente alla violazione degli obblighi di mantenimento dei figli minori nati da genitori non uniti dal vincolo formale del matrimonio.
Propone ricorso immediato per cassazione (art. 569 c.p.p.) il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello deducendo l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 570bis c.p. per contrasto col principio di diritto affermato dalla sentenza Cass. Pen., Sez. 6, n. 55744/2018[3].
Con la pronuncia in commento la Corte accoglie il ricorso del Procuratore Generale. La breve motivazione ha in sé il pregio di fare il punto dell'orientamento consolidato e di avvalorare le argomentazioni già sviluppate - in particolare nella richiamata sentenza n. 55744/2018 -, così specificando: per un verso, che vi è continuità normativa tra i fatti di reato commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 21/2018 (ossia prima del 6.04.2018), in pendenza dell'art. 3 della Legge n. 54/2006 e dell'art. 12sexies della Legge n. 898/1970, e il neointrodotto art. 570bis c.p.; per altro verso, che il delitto di cui al richiamato art. 570bis c.p., è configurabile anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da un rapporto matrimoniale[4].
E' quindi attraverso l'esame della pregressa richiamata giurisprudenza che la questione trova soluzione.
Invero, la tesi che ha portato all'assoluzione dell'imputato in primo grado (qualificazione del delitto ex art. 570bis c.p. quale reato proprio del solo "coniuge", e non anche del genitore convivente) è stata sostenuta da una sola decisione della Cassazione (sentenza Sez. VI, n. 2666 del 7.12.2016) poi superata dal più recente orientamento in ragione dell'"interpretazione sistematica" della disciplina sul tema delle unioni civili e della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli; disciplina introdotta dalla Legge n. 76 del 20.05.2016, e dal D.Lgs. n. 154 del 28.12.2013 che ha introdotto l'art. 337bis c.c., e, quindi, di una rilettura dell'art. 4, comma 2, della L. n. 54 del 2006 (non abrogato per effetto del D.Lgs. n. 21/2018), in base al quale le disposizioni della stessa legge sull'affidamento condiviso si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati: deve infatti ritenersi che attualmente il predetto riferimento vada ricondotto a tutte le disposizioni previste dalla Legge n. 54/2006, anche laddove attengono al diritto penale sostanziale, in quanto una diversa soluzione determinerebbe un'incostituzionale diversità di trattamento, accordando una più ampia e severa tutela penale ai soli figli di genitori coniugati rispetto a quelli nati fuori dal matrimonio.
Sostiene la Cassazione che la correttezza di detto orientamento non sia venuta meno con l'introduzione dell'art. 570bis c.p., ancorché la norma sanzioni testualmente la condotta del "coniuge" che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economia in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.
A fronte dell'interpretazione restrittiva - sovente seguita nella giurisprudenza di merito - fondata sul mero dato testuale della disposizione (con conseguente esclusione della sanzionabilità nell'ambito della filiazione estranea al contesto matrimoniale, se non con applicazione del distinto reato di cui all'art. 570, comma 1, c.p.), è invalso un differente pensiero maturato sulla portata e sulla natura della Legge Delega n. 103/2017: delega di natura meramente compilativa, diretta ad autorizzare la sola traslazione di figure criminose già esistenti nel corpus del codice (c.d. principio della "riserva di codice"), senza contemplare alcuna modifica sostanziale delle stesse. In sostanza, il nuovo art. 570bis c.p. realizza un "assorbimento" degli articoli 12sexies della Legge n. 898/1970 e 3 della Legge n. 54/2006, contestualmente abrogati.
Orbene, l'ambito di applicazione delle predette norme extracodicistiche, poi trasfuse nell'art. 570bis c.p. ma senza modificazione del perimetro sanzionatorio, già riguardava anche i figli di genitori non coniugati in forza dell'art. 4, comma 2, della L. n. 54/2006, che svolgeva la funzione di norma di chiusura del sistema stante l'espresso riferimento ("procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati") agli obblighi di natura economica disciplinati dalla medesima L. n. 54/2006 (con l'introduzione degli artt. da 155 e 155sexies c.c., successivamente incisi dal D.Lgs. n. 154/2013, entrato in vigore in data 7.02.2014.)[5].
In particolare, la Cassazione sottolinea che la mera esegesi letterale dell'art. 570bis c.p., tra la posizione dei figli nati da genitori conviventi, rispetto alla prole nata in costanza di matrimonio, si porrebbe in netta antitesi con la piena equiparazione realizzata nell'ambito della responsabilità genitoriale del diritto civile (art. 337bis e ss. c.c.[6]): in tale contesto, infatti, gli obblighi dei genitori scaturenti dal rapporto di filiazione non subiscono alcuna modifica a seconda che sia o meno intervenuto il matrimonio, in conformità, peraltro, alla previsione di cui all'art. 30, comma 3, della Costituzione[7] (doverosa è, infatti e in ogni caso, l'interpretazione - ove possibile - costituzionalmente orientata della norma di legge).
La decisione della Cassazione in commento (assunta in data 19.07.2019, con motivazione depositata in data 4.11.2019) si pone temporalmente in strettissima vicinanza con la sentenza della Corte Costituzionale n. 189/2019, depositata in segreteria in data 18.07.2019 e pubblicata sulla G.U. n. 30 del 24.07.2019.
Nonostante la Cassazione non sia stata a conoscenza delle valutazioni assunte dal Giudice delle Leggi (rese pubbliche solo pochi giorni dopo la decisione della Corte di legittimità), nella pronuncia in commento il Collegio - attraverso il richiamo al precedente di cui alla sentenza n. 55744/2018 - ha considerato i dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riguardo all'art. 570bis c.p. e al D.Lgs. n. 21/2018, e li ha ritenuti irrilevanti ai fini della soluzione della questione controversa[8].
A ogni buon conto, si rileva che l'orientamento accolto e rimarcato dalla Cassazione ha ricevuto l'avvallo della Corte Costituzionale quale "nuovo diritto vivente". La Corte, nello specifico, ha vagliato la conformità dell'atto legislativo governativo di cui al D.Lgs. n. 21/2018 in relazione ai criteri direttivi della Legge Delega n. 103/2017 (parametro di costituzionalità ex art. 76 Cost.), onde verificare che - conformemente alla "riserva di codice", finalizzata a un mero "riordino" della normativa, imposta dal Parlamento - non sia stata operata un'illegittima modificazione delle fattispecie incriminatrici individuate dal Legislatore[9].
E così, il "rinvio dinamico" che l'art. 4, comma 2, della Legge n.54/2006 opera nei confronti di tutte le disposizioni della medesima legge, deve essere interpretato in combinato disposto con il D.Lgs. n. 21/2018 laddove precisa che ogni riferimento all'abrogato art. 3 della suddetta legge, a far data dal 6.04.2018, dev'essere ricondotto all'art. 570bis c.p..
Nonostante la certezza dell'interpretazione predetta, è la stessa Corte Costituzionale a rivolgere un invito al Legislatore affinché intervenga sull'art. 570bis c.p. per assicurare una maggiore chiarezza e la "più immediata riconoscibilità del precetto penale da parte dei suoi destinatari"[10].
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